Ca' Rezzonico

Ca' Rezzonico

Secondo piano

Giandomenico Tiepolo a Zianigo

In queste sale si possono ammirare gli affreschi eseguiti da Giandomenico Tiepolo nella villa di famiglia a Zianigo. Strappati nel 1906 per essere venduti all’estero, furono acquistati dalla città di Venezia e trasferiti nel 1935 a Ca’ Rezzonico dove sono stati posti in piccoli ambienti che ripropongono la collocazione originaria. Compiuti in un periodo di tempo assai lungo, fra il 1759 e il 1797, costituiscono senza dubbio uno dei momenti più affascinanti e singolari di tutta la pittura veneziana. Non si tratta di opere eseguite per uno specifico mecenate ma per il piacere dell’artista stesso e dei suoi congiunti nella dimensione privata della propria dimora. Proprio questa circostanza rende il pittore libero da convenzioni tematiche e figurative e gli consente di assecondare la propria intima natura che lo porta a descrivere con sarcasmo il mondo che lo circonda.

La prima opera raffigura una scena della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso: Rinaldo che abbandona il giardino di Armida, un tempo collocata a piano terreno della villa di Zianigo. Siamo ancora in una dimensione figurativa strettamente legata al mondo paterno sia dal punto di vista stilistico che tematico. La sua vena personale si rivela invece nell’istantanea del Falchetto che piomba sullo stormo di passeri in fuga, originariamente un soffitto, dove, al posto delle mitologie paterne, Giandomenico ha raffigurato un tema di limpida e naturale semplicità. 

Gli affreschi della stanza successiva ripropongono temi già svolti in giovinezza dall’artista nella foresteria della villa Valmarana a Vicenza. Dopo molti anni egli li ripropone in forma nuova, monumentale e rivisitati con l’occhio di chi è invecchiato e osserva i contemporanei con spietata ironia. Il Mondo Novo raffigura una folla che si accalca, richiamata dal ciarlatano attorno al casotto della lanterna magica detta, appunto, Mondo Novo per le immagini di luoghi esotici che venivano mostrate al suo interno. Nell’affresco, Giandomenico opera un capovolgimento della concezione classica della rappresentazione: la scena non si mostra allo spettatore ma paradossalmente si nega al suo sguardo. Non stiamo infatti guardando un’immagine determinata, ma qualcuno che a sua volta guarda qualcos’altro.

Nelle due scene minori della medesima stanza, il pittore presenta un altro tema a lui particolarmente caro, quello della passeggiata e della danza, qui però svincolati dal loro contesto galante, modaiolo, proprio delle piccole tele della sua giovinezza.
In particolare, La passeggiata in villa, assume una comicità involontaria nella ricercata eleganza di indumenti che stridono addosso alle membra smagrite dei personaggi, che ancora una volta ci voltano le spalle, prendendo congedo da noi. 

Gli affreschi che decorano la piccola cappella sono probabilmente i primi eseguiti nella villa da Giandomenico. La cappella venne infatti dedicata, nel 1758, al beato Girolamo Miani fondatore dell’ordine dei somaschi al quale apparteneva il fratello minore del pittore: Giuseppe Maria. 
Oltre alla pala d’altare con la Madonna col Bambino adorata da San Girolamo Miani e da San Giacomo apostolo Giandomenico esegue due grandi monocromi con la vita del santo. Seguendo la sua personale indole votata al concreto e all’osservazione del vero Giandomenico legge i due avvenimenti miracolosi come momenti di vita di un collegio, patinati da un velo di malinconico squallore, scene disadorne di vita quotidiana, dove non c’è spazio per i prodigi. 

La Stanza dei Pulcinella appare come un vero e proprio camerino: l’ultima realizzata da Giandomenico e forse la più celebre dell’intero ciclo. Per contrasto, ad uno spettacolo negato come avviene nel Mondo Novo qui si rivela all’osservatore una moltitudine brulicante di figure, dove il protagonista è Pulcinella, la maschera della commedia dell’arte, espressione dell’anima popolare, da sempre parodia dell’uomo e delle sue debolezze. Negli ultimi anni della sua vita Giandomenico è letteralmente ossessionato da questa figura, che egli dipinge sulle pareti della sua casa e in decine di disegni poi raccolti in un album, oggi smembrato e disperso in collezioni pubbliche e private. Egli trova in questa maschera l’incarnazione perfetta di quello spirito sarcastico, cui era da sempre incline. Negli affreschi di questa stanza innumerevoli Pulcinella, sbucati improvvisamente dalle viscere della terra, servendosi di una scala, compiono le stesse azioni della nobiltà oppure fanno il verso ai protagonisti delle favole e delle mitologie descritte da Giambattista Tiepolo: si divertono con l’altalena, corteggiano le donne nel corso del carnevale, si ubriacano, vanno in passeggiata. 

Il futuro immaginato dal pittore è tragico e comico allo stesso tempo, agghiacciante e attuale nel suo pessimismo: al fatuo Mondo Novo egli contrappone un altro mondo nuovo di zecca, abitato da un popolo irriverente, sboccato, composto di personaggi liberi ed eguali, in ossequio alle parole d’ordine che provenivano allora dalla Francia rivoluzionaria. Non irrilevante segnalare come la data che indica il termine degli affreschi sia proprio il 1797, lo stesso anno ‘fatale’ della caduta della Repubblica di Venezia.