Dopo essere saliti lungo lo scalone – impreziosito da due statue di Giusto Le Court, raffiguranti le allegorie dell’Inverno e dell’Autunno, e dal raro calessino o sediolo settecentesco, si accede al grandioso salone. Questo ambiente monumentale non trova rivali a Venezia sia per le dimensioni sia per la qualità della decorazione pittorica.
Siamo nel 1751. Assente Tiepolo, impegnato in Germania per il principe vescovo di Würzburg, l’esecuzione degli affreschi è affidata a un artista di grande originalità: Giambattista Crosato, reduce dai successi ottenuti come pittore di corte a Torino presso i Savoia.
Collabora con lui, per la finta architettura dipinta, Girolamo Mengozzi Colonna, il grande quadraturista di Giambattista Tiepolo, rimasto a Venezia dopo la partenza dell’amico. Mengozzi Colonna crea qui uno spazio illusionistico di grande effetto: dietro un primo ordine di lesene giganti alternate a finte statue, si snoda un perimetro di colonne in marmo grigio che sorregge un architrave in rosso di Verona, che nella finzione pittorica ripropone il modulo del portale d’ingresso.
Nella parte superiore l’artista dilata lo spazio suggerendo una fuga di ambienti al di là delle logge e dei balconcini dipinti agli angoli, mentre al centro del soffitto compare Apollo, il dio del sole che sorge con il suo carro a illuminare le quattro parti del mondo (Europa, Asia, Africa, America), qui personificate da fanciulle di popoli diversi. Un soggetto di buon auspicio, frequente nelle dimore patrizie, che allude al futuro radioso che attende i proprietari del palazzo.
Sono proprio i Rezzonico ad accoglierci nel salone, attraverso il magniloquente stemma di famiglia che campeggia, gigantesco, al centro della parete di fronte all’ingresso. La sala è un’esaltazione araldica e allegorica dei proprietari, le aquile bicipiti del loro stemma sono replicate su tutti i capitelli delle colonne. Tuttavia, poche volte come in questo caso, è la pittura che celebra se stessa e le sue capacità illusive, trasportando il visitatore in una dimensione magica, fiabesca, calata all’interno delle mura domestiche.
Dell’arredo originario restano qui solo i due grandiosi lampadari in legno e metalli dorati a motivi floreali. Lungo le pareti troviamo invece fastosi elementi di arredo realizzati in legno di ebano e bosso da Andrea Brustolon, uno dei più grandi scultori in legno del Barocco, definito da Honoré de Balzac “il Michelangelo del legno”. Si tratta di una quarantina di pezzi, una parte dei quali è esposta nella sala dedicata all’artista. La serie, realizzata in origine per palazzo Venier a San Vio, comprende seggioloni, statue reggi-vaso e figure ornamentali di schiavi e guerrieri etiopi. La fantasia dello scultore ha dato vita al mobilio trasformando i vari elementi in un opulento trionfo di rami intrecciati e sculture vere e proprie, come nel caso delle strutture portanti dei monumentali seggioloni. Nessuno è uguale all’altro: qui l’estro di Brustolon si esalta nell’invenzione sempre differente di gambe e braccioli che riproducono rami d’albero sorretti da telamoni, fra i quali fanno capolino fauni e putti. Ne scaturisce uno dei più sontuosi gruppi di arredi veneziani, che rivela tutto l’esuberante gusto decorativo del barocco.