Il dipinto sul soffitto con Zefiro e Flora, proveniente da Palazzo Pesaro, fu eseguito da Giambattista Tiepolo in occasione del matrimonio tra Antonio Pesaro e Caterina Sagredo, celebrato nel 1732. Il soggetto, frequente in età barocca, allude al risveglio della natura – personificata da Flora –, con il sopraggiungere della primavera, annunciato da una leggera e calda brezza, Zefiro appunto. Evidentemente un auspicio di fecondità per i novelli sposi. In questa tela è possibile apprezzare la svolta stilistica operata dal pittore attorno al 1730, quando introduce anche nella pittura a olio la luminosità dell’affresco. I colori infatti sono trasparenti e squillanti; pezzi virtuosistici di bravura, come il cangiante drappo di Flora o la trasparenza cristallina e delle ali di Zefiro, si alternano a notazioni di carnale sensualità.
Contrappunto alla fantasiosa arte tiepolesca, lungo le pareti è invece possibile ripercorrere per intero l’originale produzione di Pietro Longhi, che ci consente di entrare nella vita quotidiana della Venezia settecentesca. Il percorso artistico di Pietro Longhi è lungo e complesso e tocca numerosi generi artistici. A seguito d’una non brillante carriera di pittore storico si converte alla pittura di genere, nella quale riprende contadini e pastori in atteggiamenti di tenera e festante complicità come nella Polenta oppure nella Furlana. Dopo queste opere verso la metà del secolo volge il suo sguardo verso la città, mutando argomento e stile. Sarà il suo successo. I soggetti diventano i membri del patriziato veneziano raffigurati, non in aulici ritratti da parata, ma ripresi nelle loro occupazioni quotidiane: Il parrucchiere, la Cioccolata del mattino, oppure la Visita di un cavaliere in bauta o la Lettera del moro. È la prima volta che la riservata aristocrazia veneziana si mostra nell’intimità, indaffarata nei propri passatempi. Nel descrivere questo mondo privato Pietro Longhi si serve di una tecnica delicatissima, costruita su teneri impasti di colore, lavorati con minuti tocchi di pennello che esaltano la resa delle stoffe lavorate. Il pittore segue l’aristocrazia anche fuori dalle mura domestiche, dove si reca non per prendere parte alle cerimonie pubbliche ma per godere degli svaghi del Carnevale. I punti di stazione sono i palchi dei ciarlatani o dei venditori presso i quali l’artista ritrae i nobili veneziani con il volto mascherato, come prescritto dalle leggi della Serenissima, così da preservarne l’anonimato.
I mobili della sala in lacca gialla con decorazioni a fiori e ricci rossi costituivano in origine l’arredo di un salotto di palazzo Calbo Crotta. Tra essi, particolarmente curioso il raro divano a pozzetto.
Il Rinoceronte
Durante il carnevale, che durava ben tre mesi, nei vari ‘casotti’ allestiti nell’area marciana si susseguivano curiosità e venditori di vario genere: burattinai, maghi, astrologi, ciarlatani; raffigurati da Pietro Longhi in molti dei quadri qui esposti. Fra le attrazioni principali c’erano anche animali esotici come leoni, elefanti e, in questo caso, il Rinoceronte.
In occasione del carnevale del 1751 arrivò a Venezia, dopo una fortunatissima tournée europea, un rinoceronte indiano femmina chiamato Clara. Il proprietario, Douwe Mout van der Meer, un capitano della compagnia delle indie olandesi, l’aveva portata con sé dal Bengala facendone ben presto un’attrazione che fece tappa in tutte le principali città europee fino al 1758, anno della morte di Clara. Questo ritratto del Rinoceronte fu compiuto per Giovanni Grimani come recita il cartiglio sulla destra del dipinto che non a caso possedeva nella sua villa in terraferma una specie di zoo privato con molti animali esotici. Ma anche Girolamo Mocenigo commissionò a Longhi un ritratto di Clara oggi conservato alla National Gallery di Londra. Si tratta senza dubbio di uno dei capolavori di Pietro Longhi, che allo spunto curioso di questo insolito arrivo in città coniuga magicamente l’intimo e il mondano, collocando l’animale nell’affascinante atmosfera del carnevale veneziano cui associa un fresco dato di verità storica.
Al centro della composizione, non troviamo, infatti, un visitatore qualunque ma il committente del nostro dipinto (all’epoca ventitrenne) accanto alla sua bellissima e sfortunata sposa, Caterina Contarini, che sarebbe morta di lì a poco dopo aver dato alla luce la loro unica figlia.