Pietro nasce a Venezia il 15 novembre del 1701. Dopo un’esperienza nella bottega di Antonio Balestra, è a Bologna, dove conosce l’opera di Giuseppe Maria Crespi che diverrà, in particolare per quel che riguarda la pittura di genere, fondamentale per gli sviluppi successivi della sua carriera. Fino al 1734 si dedica a una produzione di carattere “storico” ma dalla fine degli anni Trenta decide di cambiare rotta, indirizzandosi in modo pressoché esclusivo a quella pittura di costume che lo renderà celebre non solo entro i confini della Serenissima. Sono scene di piccolo formato dedicate dapprima, sull’esempio crespiano, alla descrizione analitica e puntuale della vita dei contadini e dei ceti poveri veneziani, poi, dagli anni Quaranta, alla vita dei veneziani, fuori e dentro i palazzi. Il successo è straordinario, come dimostrano i nomi altisonanti dei suoi aristocratici committenti: dai Sagredo ai Mocenigo, dai Grimani ai Querini ai Pisani e molti altri; in pratica, il gotha delle famiglie di antica nobiltà, non escludendo peraltro alcuni “nuovi nobili” – ma soprattutto nuovi ricchi. Un successo che si spiega non solo con la novità del genere praticato dal Longhi, ma anche con l’eccellenza della sua pittura. Fortemente legato alle istanze illuministe, recupera però anche i modi espressivi dei maestri legati alla grande decorazione o al ritratto rocaille, consentendo la convivenza e la compenetrazione tra tradizione e novità, attenzione al passato e apertura verso una cultura rinnovata, di respiro europeo. Nel comune interesse illuminista verso la narrazione del vero, il veneziano Longhi (e con lui Canaletto) partecipa – sia pur con differenza di intenti e di attitudini – alla stessa cultura di altri grandi artisti europei, da Watteau a Chardin, fino a Hogarth.
Nella sua lunga vita – morirà l’8 maggio del 1785 – si lega d’amicizia ad alcuni dei personaggi maggiormente interessati all’innovazione della società veneziana come Gaspare Gozzi o Carlo Goldoni, che gli dedica il famoso sonetto “Longhi, tu che la mia musa sorella / chiami del tuo pennel che cerca il vero”, ad indicare la medesima volontà di narrare, con gli strumenti espressivi a ciascuno più consoni, la realtà: quindi non più le maschere della Commedia dell’Arte nelle opere goldoniane, non più gli eroi della storia e della mitologia nelle telette longhiane, ma, in entrambi, l’indagine acuta, ironica e puntuale del quotidiano.