Francesco Fontebasso (Venezia, 1707-1769) è uno dei protagonisti della straordinaria stagione pittorica del Settecento veneziano: fa parte di quei “pittori viaggianti” che – dai Ricci a Pellegrini, da Rosalba a Tiepolo, da Canaletto a Bellotto – assicurano di nuovo all’arte della città un ruolo europeo.
Attivissimo frescante, abile decoratore, eccellente pittore, spazia dalle scene di vita quotidiana ai dipinti devozionali, dalle raffigurazioni storiche al ritratto, dimostrando altresì anche nella grafica grandi capacità e padronanza delle più diverse tecniche. È un bravo disegnatore, particolarmente efficace nei cosiddetti disegni finiti, che – come si vede in questa bellissima serie – raggiungono, grazie anche all’acquerellatura, la compiutezza e l’autonomia di un dipinto.
La formazione di Fontebasso, nato nel 1707 e figlio di un biaccarol, avviene nella bottega di Sebastiano Ricci – riferimento stabile per tutta la sua carriera- continuando poi a Roma all’Accademia di San Luca (1728) e a Bologna. Di queste fasi resta traccia nell’ impronta classicheggiante, nel plasticismo corposo e nelle strutture prospettico-architettoniche della tradizione quadraturistica emiliana che resteranno costanti nella sua produzione. Tornato a Venezia, si lascia conquistare dal piglio impetuoso e dai violenti effetti chiaroscurali del giovane Giambattista Tiepolo. Inizia lavorando su temi religiosi per i Manin, prima nella cappella della villa di Passariano (1732) e quindi a Venezia nella chiesa dei Gesuiti, ove realizza due scomparti del soffitto con Elia rapito in cielo e Gli angeli appaiono ad Abramo (1734), in cui è evidente l’influenza tiepolesca.
Nella primavera del 1736, poco dopo le nozze con Angela Maria Belli, riceve la prima importante commissione fuori Venezia, per decorazioni a fresco nella chiesa della SS. Annunziata a Trento. A quest’epoca si può far risalire anche la vivace lunetta con L’apoteosi di Venezia, esposta qui a Ca’ Rezzonico (nella piccola stanza – adiacente questa in cui è allestita la mostra- che immette alle sale dedicate agli affreschi di Giandomenico Tiepolo dalla villa di Zianigo), dove la Serenissima è raffigurata come un’elegante dama riccamente vestita che s’inchina alla Vergine con il bambino e a San Marco.
Dopo circa vent’anni, nel 1759, otterrà a Trento un altro importante incarico per 19 tele ispirate al Vecchio e Nuovo Testamento destinate alla sala grande e al refettorio del Castello del Buon Consiglio. Ma il momento più felice della carriera di Fontebasso è quello della grande decorazione, quando, attorno alla metà del secolo, diventa, grazie anche alla lontananza o alla indisponibilità del Tiepolo, uno dei pittori più richiesti dalla nobiltà veneziana, in un periodo di grande fermento decorativo che sembra voler contrastare il tramonto della Serenissima. Per Francesco le commissioni si susseguono a ritmo incalzante: i Duodo, i Bernardi, i Boldù, i Barbarigo, i Contarini si rivolgono a lui per inscenare gioiose composizioni nei soffitti delle loro dimore e nelle ville di campagna (è qui esposto al terzo piano, nella Pinacoteca Martini – che comprende ben dieci dipinti di Fontebasso – il vivace modello per il Trionfo tratto dalle Storie di Aureliano realizzato per la barchessa di Ca’ Zenobio a Santa Bona di Treviso).
Quasi nulla è rimasto invece dei lavori eseguiti a San Pietroburgo, dove Francesco è chiamato nella primavera del 1761 dall’imperatrice Elisabetta per decorare il plafond della chiesa del Palazzo d’Inverno. Con il viaggio in Russia si chiude il periodo artisticamente più felice dell’attività dell’artista, anche se, al ritorno, i riconoscimenti ufficiali, come l’elezione alla Presidenza dell’Accademia (1768), lo consacrano tra i capofila della scuola veneziana.
La produzione degli ultimi anni presenta, infatti, forme più levigate, come nella serie di quattro tele della chiesa di San Francesco della Vigna (1765) in cui si avverte un irrigidimento stilistico teso ad immagini di fredda eleganza, ben lontane dalle precedenti creazioni di palpitante e tangibile concretezza .